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Roald Dahl è famoso per i suoi libri che hanno venduto complessivamente oltre 250 milioni di copie. Pochi sanno che è anche co-titolare di un brevetto in campo medico.
Dahl ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo di quell’innovazione perché fu lui a mettere in contatto e a far lavorare insieme i due specialisti che servivano per quel progetto. Di fatto ebbe un ruolo di mediatore dell’innovazione ed ebbe successo anche grazie alle sue esperienze precedenti che furono molto diverse tra loro.
Racconto la storia nel quinto episodio del Podcast.
La valvola W-D-T fu una grande innovazione per l’epoca e prende il nome dalle iniziali dei suoi tre inventori: l’ingegnere idraulico Stanley Wade, lo scrittore Roald Dahl e il neurochirurgo Kenneth Till.
Certamente in questa storia ritroviamo l’importanza dei legami deboli di cui abbiamo già parlato con la storia di Rosa Parks.
Nessuno dei tre inventori sarebbe stato in grado di giungere da solo a quel risultato poiché erano necessarie le diverse specializzazioni così come il ruolo di connettore e mediatore ricoperto da Roald Dahl grazie anche alla sua precedente esperienza di mediatore nei servizi segreti.
L’innovazione della valvola WDT era legata proprio al suo funzionamento meccanico. Nell’immagine è possibile vedere i disegni allegati al brevetto depositato.
Ricordiamo che i tre inventori non hanno mai voluto sfruttare economicamente il brevetto ma lo hanno messo a disposizione senza richiedere il pagamento di royalties.
Il nuovo dispositivo, a differenza delle valvole esistenti, introduceva due piccoli elementi metallici a forma di disco, ciascuno posizionato all’estremità di un corto tubo di silicone. Il fluido si muoveva sotto pressione dal basso verso l’alto e spingeva i dischi contro il tubo per impedire il flusso di ritorno. La pressione dall’alto spostava ciascun disco nella posizione “aperto”.
Come dichiarato dallo stesso Till la nuova valvola da loro progettata era caratterizzata da:
“bassa resistenza, facilità di sterilizzazione, assenza di reflusso, costruzione robusta e rischio di blocco trascurabile”.
Nella storia di Dahl abbiamo visto come per quell’innovazione siano state necessarie tre differenti figure.
Quando si crea un team che ha come obiettivo quello di innovare uno degli elementi per ottenere il risultato migliore è la diversità nelle persone scelte.
La diversità può riguardare vari aspetti che dovranno essere scelti in base al progetto e può riguardare ad esempio età, genere, nazionalità, percorso di studi, percorso lavorativo, estrazione sociale, elementi caratteriali come introversione o estroversione o stili comportamentali e molti altri elementi. Un team con competenze e caratteristiche personali diversificate ha un alto potenziale innovativo.
Allo stesso tempo un team molto diversificato rappresenta una sfida perché persone troppo diverse tra loro rischiano di non riuscire a lavorare bene assieme a causa di barriere invisibili a livello comunicativo. La classica situazione in cui esperti in campi differenti non si capiscono perché guardano allo stesso problema da punti di vista troppo distanti tra loro.
Proprio per questo diversi esperti di innovazione sottolineano l’importanza di un mediatore che può essere sia un mediatore culturale nel caso di team internazionali sia un mediatore tra professionalità differenti.
L’importanza della figura del mediatore o, come viene chiamato in altri contesti, del facilitatore viene sottolineata anche dal professor Rehn nel suo libro “Innovare davvero“.
Rehn, focalizzandosi sulle innovazioni tecnologiche, arriva anche a ribattezzare il ruolo del mediatore con “addomesticatore di nerd” per sottolineare la difficoltà spesso incontrata dal management nel parlare con i ruoli più tecnici.
Il termine è derivato da un caso reale in cui era stata affidato a Rehn l’incarico di supportare un’azienda nei suoi progetti di innovazione. Rehn constatò che i progetti di innovazione avevano subito un rallentamento apparentemente senza motivo. Indagando più a fondo scoprì che era successo in seguito alle dimissioni di una figura junior che aveva però la capacità di far comunicare “quelli del business” con “quelli dell’IT”. Nessuno in azienda si era reso conto di quanto centrale e importante fosse la sua capacità di fare da mediatore.
Quello appena raccontato è un caso che capita più frequentemente di quanto pensiamo all’interno di aziende e organizzazioni. Ci sono persone che assumono il ruolo di mediatore naturalmente ma spesso senza che venga loro riconosciuto e con un aggravio del loro carico di lavoro. Quando se ne vanno se nessuno le sostituisce si assiste ad una improvviso e apparentemente ingiustificato calo delle performance. Prenderne consapevolezza è il primo passo per poter intervenire.